Una vita fa

A volte, casualmente, seguendo la linea intricata di qualche ricordo, mi tornano in mente persone il cui percorso di vita, per qualche periodo, si è intrecciato con il mio.  Qualche conoscenza, alcune frequentazioni, dialoghi, scambi anche intensi di opinioni, chiacchiere di prima mattina con la tazzina del caffè in mano, a scuola. Sì, perché è lì che ho passato tanto del mio tempo, a scuola.

Individui come meteore, hanno illuminato il mio firmamento per qualche tempo e poi sono spariti inesorabilmente. Perché la mia era ed è una scuola di frontiera, dove gli insegnanti ci arrivano come se venissero mandati al confino, in punizione e ci restano appena qualche anno, finché non ottengono il trasferimento in qualche città. Di qualcuno di loro, di quelli “più insignificanti”, non ricordo più né il volto e nemmeno il cognome, di altri, più carismatici e più affini alla mia persona, non ho dimenticato niente e credo che valga anche il viceversa, forse sono rimasta io stessa nei loro ricordi.

Erano i primi anni che insegnavo, praticamente un secolo fa, ma per essere un pochino più precisi, diciamo verso il 1992 e fu allora che conobbi una nuova collega di lettere. Scusate, non volevo scrivere “lettere”, ma Lettere…e che Lettere! Quando incontri una prof  di Italiano e Storia che sprizza cultura da tutti i suoi pori non puoi che rimanerne affascinato. Ma andiamo con ordine.

Siccome il mio paese dista una trentina di chilometri da Pisa, le prof pisane a quel tempo venivano insieme, alternandosi quando con la macchina di una e quando con l’auto di un’altra. Ma lei no, perché lei non guidava, non aveva la patente, quindi contribuiva con dei soldi per la benzina e si faceva portare tipo taxi dalle colleghe. Vi potete immaginare quanto fosse faticoso il viaggio di 4 prof sulla stessa auto, quante chiacchiere  e discussioni. Io non ce l’avrei fatta a sopportarle, ma loro sì, inossidabili, un giorno dopo l’altro.

Loana, si chiamava così la “letterata”  la mattina la vedevi arrivare a passo svelto mentre attraversava l’atrio della scuola. Piccola e rotondetta, con i capelli radi e cotonati raccolti dietro la nuca e gli occhi verdi pungenti spesso nascosti dietro a degli occhiali scuri, con il tuo tailleurino avvitato, un po’ demodè, la sciarpina al collo e le scarpe con il mezzo tacchetto che la facevano più vecchia di quanto non fosse. Incedeva sicura di sé, incutendo quel senso di superiorità nei comuni mortali che la incrociavano, come se in quel momento fosse scesa una divinità dal Monte Olimpo.  

Credo avesse una quarantacinquina  di anni, ossia una quindicina più di me, ma ne dimostrava almeno dieci di più. Se con gli adulti si faceva intendere, figuriamoci con i ragazzi! C’era chi la odiava e chi l’amava alla follia. Non esistevano mezze misure. Di certo non  restava indifferente a nessuno.  Strana era strana, ma chiamarla “matta”  come qualcuno faceva, a me di certo pareva eccessivo. Io, dal canto mio, la reputavo una donna con la D maiuscola. Una donna che aveva avuto una vita complessa, con un padre padrone, ma una tipa tosta, che sapeva quello che voleva ma tutto sommato penso di essere stata una delle poche ad apprezzarla in questo modo. E col senno del poi aggiungo ora che mi sbagliavo.

In sala insegnanti, a quel tempo ci passavamo tante ore buche e chiacchieravamo a raffica di tutto e di più. Lei ci diceva che non si era mai sposata perché a suo padre, maresciallo, non gli erano mai piaciuti i suoi fidanzati. Allora lei si era fatta un amico pappagallo, un volatile tipo ara, che le faceva compagnia quando passava i pomeriggi a leggere, studiare e preparare compiti. Era curioso vederla raccogliere semi di mela da chi ne mangiava durante la ricreazione con l’intento di portarli al suo pappagallo.  Di quei periodi ricordo le bellissime poesie che scrivevano i suoi alunni e ricordo le festose gite a Fontanellato, dove  imparare storia era un diletto.  Gite spettacolari anche se erano solo di una giornata.  Indimenticabili. Lei ci faceva da guida e ascoltarla era incantevole.

Poi arrivò il momento che anche lei sparì perché fu trasferita a Pisa. Non la vidi più nemmeno per caso e non ebbi più alcuno scambio con lei. Poi sentii dire che a 60 anni era andata in pensione e mi dissero anche che la solitudine le era diventata pesante, al punto che una volta aveva compiuto un gesto inconsulto tentando il suicidio.

Passarono gli anni ..forse 20 o anche più e un giorno, a scuola, entrò in aula una custode e mi consegnò un pacchetto, dicendo che l’aveva ricevuto la segreteria e che era per me. Aspettai di terminare l’orario di lavoro, andai a casa e aprii il pacco in santa pace e non vi dico che cosa strana: nel pacchetto c’erano foto di un posto nelle Marche, poi c’era un librettino di poesie, una medaglietta, ninnoli… una cartina geografica con dei segni rossi ad evidenziare delle località. Un puzzle di tante e tante cose di cui non capivo il senso. Mi chiesi chi fosse il mittente misterioso e rigirando la busta lessi un nome sconosciuto.  Lavorai un paio di giorni al grande enigma per venirne a capo e poi capii e mi si aprì il cuore. Era lei, Loana, che dopo tanto tempo si era ricordata di me e mi aveva spedito quel pacchetto. Chissà perché.  Il nome del mittente era un anagramma del suo nome, una delle poesie era dedicata a mia figlia, che era appena nata quando lei era mia collega.. e poi c’era una foto di Fontanellato e non potevo non pensare a lei. Restai allibita da tutta questa storia.  In un angolino di un foglietto stropicciato c’erano dei numeri e capii che erano un numero di telefono, allora la chiamai e mi commossi. Mi disse che dopo essere sopravvissuta al tentato suicidio, dei parenti l’avevano accolta a casa loro, nelle Marche e che era contenta di abitare vicino alla casa di Leopardi. Mi disse che aveva una bella gatta che le faceva compagnia e poi fu bello vedere che si ricordava ancora tutto delle nostre chiacchierate.  Al telefono parlava solo lei ed era un fiume in piena. La sua vocina squillante mi rimaneva nelle orecchie per un po’ dopo averla salutata. Parlando con le altre colleghe di scuola scoprii che aveva contattato solo me e mi meravigliai. Poi è passato un annetto o due e lei mi chiamava anche ad orari più impensati. Saluti fugaci  e molto affettuosi. Poi più niente. Tempo fa ho provato a chiamarla e il telefono era disattivato. Alla fine ho cancellato il suo numero e da allora è stato silenzio.  Poi oggi, sul blog, mi hanno parlato di Fontanellato…già, proprio di Fontanellato… e ho pensato a quelle gite…

Dad o non dad…

Stasera ho telefonato ad una mia ex colleghina. Si chiama Chiara, è molto carina, minuta, con il visetto piccolo  sotto una nuvola di capelli ricci. Ha una quarantacinquina di anni e da qualche tempo insegna matematica e scienze nella scuola dove lavoravo io.  La sua risata è contagiosa perché quando scoppia a ridere sonoramente, ti guarda da sopra gli occhiali da vista, inclinando la testa verso il basso e giuro che è impossibile non lasciarsi trascinare fino ad avere le lacrime agli occhi.

Ma torniamo un passo indietro: ieri sera Chiara mi mandò un messaggino dicendo che suo marito, per lavoro, si era fatto il tampone, che era risultato positivo al covid, nonostante non avesse alcun sintomo e che comunque lei stava bene, forse perché un mesetto fa si era vaccinata e così sperava di scamparla. Insomma, oggi volevo sentire come stava e l’ho chiamata:

“Ciao Chiara, come va? Come state?”

E lei:

“Tutto bene, io non ho niente, mentre mio marito se ne sta chiuso nello studio e continua a non aver sintomi”

Allora le ho detto:

“Tu come fai con la scuola? Le classi seconde e le terze medie stanno in dad quindi non hai problemi, ma con la prima media che rientra a scuola come fai? Prendi dei giorni per la quarantena?”

E lei cominciando già a mettersi a ridere..:

“ Seeeee..perché te non la sai l’ultima trovata! Un’altra novità del Ministero! Ti spiego: con la mia seconda e con la terza faccio la didattica a distanza, invece con la prima le ultime disposizioni prevedono di mandare qualcuno in classe a fare supplenza e non importa chi sia..va bene un qualsiasi insegnante, basta che badi i ragazzi… mentre io dovrò fare lezione collegandomi via internet sulla lim! …a grande schermo!” ..e già rideva a crepapelle quando ha aggiunto:

“…insomma, io chiacchiererò da sola, senza vedere nessuno, mentre una tizia, non si sa chi, starà in classe a badarli… e loro guarderanno me sulla lim, ..il mio faccione a grande schermo… mi conteranno anche i punti neri che ho sul naso! Sai quanta matematica impareranno!”

Io me la sono immaginata quella scena assurda della scuola del terzo millennio e non sapevo più se ridere o piangere…poi ho ringraziato il cielo di essere andata in pensione e mi sono abbandonata sulla sedia a farmi una sonora risata con la piccola povera Chiara che avrebbe dovuto insegnare, parlando da sola, senza interazioni con nessuno per almeno un paio di ore per classe..

Roba da essere ricoverati alla neuro a sirene spiegate, non credete anche voi?

Indimenticabile…

Anni fa una mattina arrivai a scuola e trovai in sala insegnanti tutte le colleghe in subbuglio che discutevano tra di loro.

“Ma proprio qui dovevano mandarlo…?” diceva una,

“Sai, siamo la scuola più vicina…” rispondeva l’altra.

“Ma si tratta di un ripetente di quelli che fanno confusione.. lo hanno espulso da quella scuola… e poi è marocchino e non sa l’italiano… ma come si fa… le classi ormai sono già formate, è tardi, è già cominciato il mese di ottobre…” interveniva l’unico professore uomo- in mezzo a tante donne.

“C’è un protocollo d’accoglienza, ci atterremo a quello..la preside provvederà e seguire le regole… peccato però che la preside stamani non ci sia proprio” aggiungeva una terza docente, che poi era la vicepreside.

In quel mentre suonò la campanella che segnava l’inizio della mattinata di lavoro e tutti dovemmo correre in classe a fare lezione.

Io, nella mia prima media, salutai i ragazzi, poi segnai sul registro gli assenti e iniziai a controllare i compiti assegnati per casa. Era passata una ventina di minuti quando sentii bussare alla porta: “Avanti…!” mormorai e a quel punto la porta si aprì ed entrò un bel ragazzone che reggeva davanti a sé una sedia e sorrideva. Dietro di lui la custode restava in silenzio a debita distanza, come chi non sa che pesci prendere. Io lo guardai con un certo stupore e chiesi: ” Tu chi saresti…?” e lui mi rispose: ” Sono Chlìùòàkl Spcm’ahjet (impronunciabile) e sono qui perché nessuno in questa scuola mi vuole, mi prende lei prof?” e mi sorrise come fa un bimbo quando vuole accaparrarsi un regalino dalla sua mamma. Che dovevo fare… avevo già 27 bimbi, ma come si fa a dire di no ad uno che era stato rifiutato da tutti? Beh, pensai tra me e me che il protocollo d’accoglienza della mia scuola in effetti era lasciato un po’ al caso e poi mi decisi, spostai i quaderni posati sul banco accanto ad un alunno e feci posto al nuovo arrivato invitandolo a sedersi.

“Bene…benvenuto, da ora in poi starai con noi!” e gli sorrisi. “Il tuo nome è troppo difficile, come posso chiamarti?” e lui: “Mi chiami Abdu, prof.. Grazie per avermi accolto!” e mi sorrise soddisfatto di essere riuscito nel proprio intento di trovare un posto da qualche parte. Inutile dire che ormai l’alunno in qualche modo era stato inserito in una classe e il problema di cercargli una collocazione nelle classi, per la scuola era risolto e così Abdu rimase con noi per 3 lunghi anni, finché non lasciò le scuole medie… e direi che tutto andò a meraviglia.

Ora quel bimbo è un bel ragazzone che ha più o meno ventidue anni, lavora da un fornaio della zona da un bel po’ di tempo e si guadagna lo stipendio sgobbando tutte le notti fino all’alba. Ha anche una bella fidanzata, una sorella piccolina e un’automobile nuova di zecca. Carica i video su facebook quando torna a casa all’alba e spesso canta canzoni con il sottofondo di quella melodia araba che è tanto dolce.

Oggi Abdu ha messo una delle sue foto su facebook e guardate un po’…

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La storie della prof

ride.JPGLa prof  voleva far capire ai ragazzi di seconda media che le bibite come la Coca Cola o la Fanta contengono tanti zuccheri e che per dissetarsi è molto meglio bere acqua. Giorni fa ne discussero in classe e tutti gli alunni esposero il proprio pensiero a proposito, poi alla fine tutti insieme decisero che sarebbe stato interessante fare un cartellone con le lattine delle varie bevande e accanto ad ognuna attaccarci un sacchettino con il mucchietto di zucchero corrispondente alla quantità scritta sull’etichetta. Una decina di  ragazzini si propose di portare una bibita a testa mentre altri si offrirono di portare il resto del materiale che sarebbe stato necessario per effettuare il lavoro: dai pennarelli alla colla a caldo, al cartellone, ai sacchettini, la bilancina e lo zucchero. Tommaso disse subito che in casa aveva l’Estathè, mentre Sara si propose per il contenitore del succo di frutta, Matteo avrebbe portato la Sprite…e così via.. poi, in fondo alla classe si alzò una manina e Cecilia, una bambina pacioccona  con i capelli rossicci chiese: “Prof, posso portare la Red Bull?” La prof restò un attimo perplessa e poi le rispose: “La lattina vuota puoi portarla…sai che non si può bere, vero?” …”Certo, prof,” rispose Cecilia, ” i miei genitori ce l’hanno sempre in casa, non mi costa niente portarla”.

Trascorsi un paio di giorni la prof torna a far lezione in quella seconda e trova i ragazzini tutti eccitati all’idea di eseguire quell’esperienza di laboratorio riguardante l’alto contenuto di zucchero delle varie bibite; uno dopo l’altro si avvicinano alla cattedra e depositano il materiale occorrente, l’ultima è Cecilia che arriva trafelata, con le guanciotte arrossate, posa la sua lattina vuota di Red Bull e ridendo mormora: “Ecco la lattina prof, come le avevo promesso, sappia che mantenere la parola mi è costato molto perché ieri sera mi sono scolata tutta la bibita e stanotte non ho mai dormito!” tristezza

La prof allora: “ma non ti avevo detto che non si poteva bere?” e Cecilia: “io pensavo che lei volesse dire che non si può bere a scuola…io l’ho bevuta a casa!”

La prof non sapeva se ridere o piangere e non sapeva nemmeno come uscire da quella situazione piuttosto imbarazzante, poi alla fine ha deciso di lasciar correre..e ha lasciato correre anche quando il giorno dopo ha incontrato per caso il padre di Cecilia.. ma ripensandoci forse era meglio dirgli che badasse di più a sua figlia e che non le lasciasse le Red Bull a portata di mano. no no. Ma tu guarda che situazione! .. Forse sarebbe meglio limitarsi a leggere i libri di testo e basta, non trovate?

Il supplentino

supplenteNon è mai successo che a scuola ci fosse un caos come quest’anno.  Fino a qualche giorno fa eravamo pochissimi al lavoro, perché molti insegnanti non erano ancora stati nominati e badare tutti i ragazzi è stata un’impresa ardua. Poi, finalmente, i nuovi docenti sono arrivati e sono tantissimi, in quanto le cattedre di 18 ore sono state suddivise tra più persone, per cui sono stati assegnati degli spezzoni orari, con conseguente disagio di tutti.

Stamani sono arrivata a scuola e mi sono trovata davanti un ragazzo, che mi è venuto incontro e si è presentato: “Sono il nuovo supplente di matematica” Ha detto.. e io non ho potuto fare a meno di sorridergli dicendo: “Ma il liceo lo hai terminato vero?” e gli ho stretto la mano, che ho sentito ne’ più ne’ meno come quella di un alunno: debole, fredda e un po’ sudaticcia.  “Si comincia bene…” mi son detta tra me e me, “questo lo sbranano!” ho pensato, “è troppo intimorito”.

Poi ci siamo lasciati dirigendosi ognuno verso la rispettiva porta dell’aula. Alle 10:20 è suonata la ricreazione e sono andata sulla porta per sorvegliare la scolaresca, ma chi ti trovo nel corridoio proprio lì dietro? Lui! Il supplente giovincello. Mi ha guardata un po’ smarrito e mi ha sorriso dicendo che aveva fame e che da ora in poi si sarebbe portato la merenda. “E’ proprio un ragazzo… gli è venuta voglia di un panino a vedere gli scolari che sgranavano focaccine imbottite”, ho pensato sorridendo tra me e me.

Alla terza ora avevo del tempo libero e sono andata in sala insegnanti e mi sono ritrovata in mezzo ad un gruppo di docenti sì e no  trentenni, tutti indaffarati a cercare di capire come funziona il carrozzone scolastico. Anche il supplentino era lì e mi si è messo a fare l’interrogatorio: il programma dove lo trovo?.. La valutazione delle verifiche come la faccio? …  Per l’uscita da scuola dei ragazzi come mi devo regolare?… I libri di testo dove li trovo?.. e via via, una dopo l’altra tutte le richieste. Io mi sono chiesta da dove arrivasse quel giovane che di scuola non sapeva nulla e alla fine non ho retto e gliel’ho chiesto: “ Ma tu fino ad ora che lavoro facevi?” ..e lui angelico: “Facevo il supplente del postino.. di scuola non so assolutamente niente!”. Chissà come me lo ero immaginato 😉 Chiacchiera dopo chiacchiera è suonata la campanella e siamo corsi nelle nostre rispettive classi.

Alle 13:20, alla fine della mattinata, abbiamo accompagnato i ragazzi al portone dell’uscita e ci siamo incontrati di nuovo..ormai eravamo diventati quasi amici. “Allora, com’è andata?” gli ho detto sorridendo..e lui: “Non credo di farcela…” mi ha risposto tutto triste, “…forse rinuncio”.

Sì, penso proprio che oggi il povero malcapitato nelle classi lo abbiano sbranato. Gli adolescenti quando ci si mettono sono terribili. Lo so per esperienza, è così che va il mondo, d’impatto, appena arrivi in mezzo ad un branco di adolescenti ti penti di essere lì e maledici il momento in cui ti è balenato per la testa di scegliere quel  lavoro. Ci vogliono anni di gavetta e imparare un oceano di cose prima di diventare un discreto prof. Ripensandoci bene, forse quel che si impara non basta mai, perché mentre lo fai la società cambia e anche il tuo modo di porti deve cambiare. Il lavoro del prof è tutto in divenire e niente è mai com’era prima. Chissà se anch’io, ai miei tempi, ho dato la stessa impressione di neo-prof-imbranata scherza

La prof e il suo burnout

BurnoutLa prof ieri era in vena di valutazioni e così si era messa a pensare  che l’anno scolastico appena terminato era   stato  uno di dei più brutti tra quelli della sua lunga carriera: troppi ragazzi difficili e una sequenza di classi numerosissime, colleghi demotivati, sempre in transito, sballottati da una scuola all’altra senza certezze per la loro vita lavorativa e poi le famiglie distratte, assorte in mille problemi, genitori che delegano in toto l’educazione dei figli senza preoccuparsi di niente, aule fatiscenti e arredi risalenti al giurassico… che tristezza!  Le situazioni difficili generano stress e disagio agli insegnanti (dice che si chiami sindrome di Burnout) e alla fine sembra di combinare ancor meno di quel che combini, ed è così che la prof si sentiva mentre si guardava le mani vuote, rigirandosele davanti a sé, davanti al cuore. “Forse è la stanchezza”, si ripeteva in modo sommesso nella sua testa. “Forse è anche il caldo improvviso… qualcosa sarà che mi fa apparire tutto quanto così negativo”. L’unica cosa certa è che non le piaceva affatto lavorare in quel modo, come se fosse ogni giorno da sola, in trincea, a guerreggiare contro un esercito di adolescenti svogliati e semi-analfabeti, ai quali non interessava altro che stare stesi sul divano a giocare alla Play. Un lavoro troppo faticoso che richiedeva energie giovani e nuove, non certo le sue che ormai di primavere ne aveva viste passare ben troppe davanti a sé. Ma una prospettiva in cuor suo la prof ce l’aveva ed era riservata ad un piccolo incontro che doveva esserci stamattina, con le docenti neo-assunte, infatti lei fa parte del comitato di valutazione e proprio stamani una maestra di scuola dell’infanzia avrebbe discusso la sua tesina inerente al lavoro svolto in classe e così poi sarebbe entrata al lavoro a tempo indeterminato (o di “ruolo” come si diceva una volta). La prof pensava alle maestre-chiocce della scuola materna e si era ritrovata a sorridere favoleggiando sui grembiulini rosa e celesti, sui panierini con la merenda, sulle canzoncine cantate a filastrocca, sui colori impiastricciati coi pennelloni grandi sulla carta da pacchi, sugli asciugamanini colorati attaccati rigorosamente con il nome del bimbo in bella mostra e ai “giro-girotondo-casca il mondo – casca la terra- tutti giù per terra!”. “Lì sì che le cose funzionano” si ripeteva tra sé e sé e forse vedere una maestrina  lavorare bene con i bimbi piccoli le avrebbe tirato su il morale.  Ed era a  questo che la prof era preparata, ma le cose non sono andate proprio in quel modo: nella prima slide troneggiava un bell’errore di ortografia, ma lei ha subito pensato: “Dai… capita… sarà un refuso…“ e poi non si aspettava certo che la maestra mostrasse un lavoro copiato pari pari da internet come è successo (quindi mai attuato in classe) e che la maestra non fosse nemmeno poi tanto una maestra-chioccia infatti nel momento riservato alla valutazione è venuto fuori che si era beccata anche un richiamo disciplinare dalla dirigente perché non si sa bene che cosa aveva combinato di brutto su un bimbo di 4 anni. Beh, la prof dopo tutto questo è rimasta di sale e ha pensato che forse era proprio meglio chiudere definitivamente (fino a settembre s’intende!) il discorso-scuola e parlare d’altro.  Dice che ogni tanto si passano i periodi “no” e che funziona come quando si spara, più si fa fatica per il rinculo e più che si mette forza nello spingere il proiettile in avanti, se così stanno le cose, dopo tante negatività, la prof si aspetta grandi novità positive per il futuro prossimo… sarà mica che finalmente le daranno la pensione? scherza

Un mondo strano

“Non vogliguarda fuorio sapere i risultati degli esercizi per il semplice motivo che non voglio preoccuparmi fin da adesso sapendo che ho sbagliato delle cose!” e così dicendo si è girata di là, verso il finestrino del treno e ha chiuso il discorso; anzi, ha fatto di più, si è messa pure le cuffie alle orecchie per ascoltare la musica e non sentir dire più niente. Su quel treno oggi eravamo in pochi a rientrare a casa dopo aver sostenuto una competizione scientifica dedicata agli alunni più bravi della scuola. E lei era una di quelli. Gli occhi piccoli, verdi, un po’ sfuggenti in un viso minuto da tredicenne in crescita. Una cascata di ricci castani sciolti sulle spalle e  un corpo alto, smilzo e longilineo, un po’ dinoccolato ma anche un po’ troppo dritto come se, con il suo atteggiamento, volesse far capire  al mondo che lei non è più una bambina e che sa essere una tipa tosta, quando vuole. Nessuno comunica facilmente con una così e nessuno riesce mai a capire fino in fondo cosa le stia passando per la testa. Nemmeno la mamma dice di comprenderla e spesso scuote il capo come fa chi è rassegnato e non ce la fa più a lottare per cambiare le cose; se poi però questo sia vero o falso nessuno lo saprà mai. Dei giochi scientifici,  invece, il risultato si saprà presto e vedremo come andrà a finire, se questo qualcosa può valere, in questo mondo strano in cui sempre più spesso è così difficile comunicare.

sfondoni

diaframma

In classe.

“Michele, guarda l’immagine e dimmi come si chiama quel muscolo che divide la cavità addominale da quella toracica e che è molto importante per la respirazione…”

“Lo so prof!!! Si chiama diaframma cartesiano!

14… no no… interdisciplinarità matematica e scienze raggiunta!…32